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giovedì 25 aprile 2024

Dentro o fuori dal tempo

Il tempo sequenziale, l’orologio che continua a ticchettare, è ciò che viene in mente quando pensiamo allo sviluppo dell’anima. Dopotutto, come Cayce indica, “Quello che l’entità è oggi è il risultato di ciò che è stato nei giorni, nelle esperienze, epoche e millenni passati” (2051-5). Il tempo sequenziale è anche centrale nel nostro concetto di karma. “Tutto quello che un’entità, un individuo, semina, quello lo deve anche raccogliere” (500-1).
Come, quindi, dobbiamo capire il senso della teoria che tutto il tempo è simultaneo? Non solo ci dicono questo i fisici moderni, ma anche la metafisica. Anche Cayce conferma questo osservando che vita e morte sono tutt’uno. Non vi è “alcun tempo, alcuno spazio, alcun principio, alcuna fine” (5749-3). Come dobbiamo comprendere questo paradosso?
La lettura 5755-1, condotta il 27 giugno 1938 durante il settimo congresso annuale dell’A.R.E., fornisce una spiegazione. Seguono i paragrafi pertinenti, numerati come sono nella lettura:

9. Quindi l’entità passa per quei stadi che alcuni hanno visto come piani,
alcuni hanno visto come gradini, alcuni hanno visto come cicli e altri
hanno conosciuto come luoghi.
10. Quanto lontano? Quanto è lontano domani per un’anima? Quanto è
lontano ieri dalla tua coscienza?
11. Tu ci sei dentro (cioè, tutto il tempo è un solo tempo), ma gradualmente
ne diventi consapevole; attraversando, quindi, per così dire, il registro o
libro della coscienza o di rimembranza di Dio; per affrontare, essere
misurato, per così dire, riguardo a ciò che hai raggiunto. (5755-1)

Interpretiamo questo passo difficile. Il paragrafo 9 fa capire che passiamo attraverso degli “stadi” di sviluppo. Ad alcuni questi possono sembrare basati sul tempo: come “cicli”. Ma possono anche sembrare dei “piani” o “luoghi”, come i soggiorni planetari di cui le letture parlavano altrove. (Cayce insegna che tra le vite sulla Terra abbiamo dei “soggiorni” astrali nei campi vibratori di vari pianeti e che queste esperienze ci influenzino e facciano parte della nostra evoluzione. Per questo la crescita o “l’entità che affronta se stessa” non è necessariamente basata sul tempo: può solo sembrare così.
Questa idea continua col paragrafo 10, che sottolinea l’idea che la consapevolezza, non il tempo, dà forma alla nostra visione dello sviluppo. Infine il paragrafo 11 riassume l’idea che “tutto il tempo è un solo tempo”. C’è anche l’accenno che in realtà è la nostra consapevolezza crescente, si potrebbe dire il nostro risveglio, e non il tempo lineare che stiamo conoscendo mentre “stiamo attraversando il registro o libro della coscienza di Dio”. In altre parole, la nostra consapevolezza delle cronache Akasciche “tessute sulla matassa di tempo e spazio” ci fa comprendere di “essere misurato, per così dire, riguardo a ciò che hai raggiunto.” Il tempo è il modo in cui viviamo la nostra crescita.
La Fonte di Cayce si riferisce allo spazio-tempo come un’unica unità nel medesimo modo spiegato nella teoria della relatività speciale di Einstein (Tempo e spazio non possono essere definiti separatamente. Sono strettamente connessi e formano un unico continuo noto come “spaziotempo” – 1907). Nella lettura 440-4 leggiamo: “Poiché deve essere appreso o compreso, nella tua coscienza come essere, in una forza finita di attività, che tempo e spazio sono uno.” Qui riecheggia la lettura 5755-1 rilevata sopra: possiamo considerare la nostra evoluzione in cicli O in piani o luoghi. Ciò che crea ancora più confusione, secondo Cayce le cronache akasciche sono “fatte come l’emanazione della luce … nel tempo, nello spazio e su quella matassa in mezzo ad essi” (815-2). Le cronache sono in qualche modo IN MEZZO a spazio e tempo, non ne fanno parte, bensì sono scritte sulla luce “nel tempo, nello spazio”. Secondo questo concetto assai strano sembra che sia attribuita una caratteristica allo spazio-tempo stesso, o qualunque cosa costituisca ciò che è “in mezzo”. Nuovamente abbiamo un enigma nella sintassi, dato che “in mezzo” può riferirsi a “in mezzo a spazio e tempo” o “in mezzo a luce e spazio-tempo”. Forse l’interpretazione giusta dovrebbe essere “in mezzo a spazio e tempo”. Le cronache sono una caratteristica, una proprietà della coscienza, non dello spazio o del tempo. Poiché “su quella matassa in mezzo ad essi ci sono le cronache scritte da ogni anima nella sua attività attraverso l’eternità; attraverso la sua consapevolezza, attraverso la sua coscienza, non solo nella materia, ma anche nel pensiero. In qualunque regno quell’entità costruisce per sé la sua esperienza, nel suo percorso, nella sua attività” (815-2). Forse è per questo che Cayce disse che, mentre in trance stava facendo visita alle cronache akasciche, le sue consultazioni con un guardiano delle cronache che teneva in mano un libro erano soltanto simboliche. Qualunque immagine andrebbe bene se avesse senso per la propria coscienza.
Che cosa questo discorso filosofico ha quindi a che fare con il nostro proprio percorso di vita?
Tanto per cominciare, lascia intendere che il tempo non sia reale. Fa solo parte della nostra ipnosi sensoriale terrena. Forse ci viene dato affinché possiamo riconoscere il nostro progresso e crescere via via che impariamo dai nostri errori. Cayce suggerisce questa idea:

22. Poiché per l’entità – come per il mondo – la pazienza è la lezione
che ogni anima deve imparare nel suo soggiorno nella materialità.
Ed ecco un pensiero per l’entità: tempo, spazio e pazienza hanno
nel regno mentale lo stesso significato dell’espressione “Dio
Padre, Figlio e Spirito Santo” o Spirito, Corpo, Anima. Sono
espressioni del pensiero tridimensionale.
23. E nella Pazienza quindi l’uomo diventa sempre più consapevole
DELLA continuità della vita, del fatto che la sua anima è una
porzione del Tutto; essendo la Pazienza la porzione della sfera di
attività dell’uomo nell’esistenza finita, mentre Tempo e Spazio
manifestano la forza creativa e motivazionale. (1554-3)

Così tempo, spazio e pazienza lavorano insieme nel mondo tridimensionale come manifestazioni dell’infinito immutabile, “Dio Padre, Figlio e Spirito Santo”. In una conferenza sui misteri del tempo, il fisico della Caltech, dott. Sean Carroll, dice che il tempo è una caratteristica della Terra, ma non dello spazio profondo. Possiamo percepire questa immutabilità nella meditazione, nella regressione ipnotica o nei sogni. Una volta, quando sono regredita nel XVII secolo, la mia personalità nella trance disse con un forte accento inglese: “E’ tanto strano. Il tempo non ha significato. Sono qui – e non lo sono.”
Nel suo libro Future Memory [Memoria del futuro, n.d.t.] P.M.H. Atwater usa i termini di Itzhak Bentov “oggettivo” e “soggettivo” per identificare due tipi di spazio-tempo: l’uno “sequenziale e ordinato”, con oggetti solidi, e l’altro libero di “coordinate spazio-tempo”. Durante la “convergenza” la consapevolezza “soggettiva” copre la nostra realtà oggettiva usuale. Il libro di Atwater si concentra su casi di “memoria del futuro” in cui lo sperimentatore riceve intere scene dal futuro, complete di dettagli sensoriali. Nel suo esempio personale rivisse in dettaglio mesi del suo futuro – non una volta, ma due. Intervistando altri che avevano sperimentato questo fenomeno e paragonando le loro esperienze con la sua si rese conto che se, di tanto in tanto, una scena non si svelava quando era stato suggerito che accadesse, si sarebbe svolta in seguito. Per esempio, una donna vide il marito in un incidente d’auto mentre stava andando in macchina ad un incontro. Per questo lo portò in macchina lei stessa ed egli evitò l’incidente. Ma, sfortunatamente, egli ebbe l’incidente più tardi quando andò in macchina ad un altro incontro. Il libro di Atwater indica che abbiamo il libero arbitrio per fare delle scelte, ma che sia predestinato che molti avvenimenti accadano, in un modo o nell’altro, che siamo una parte di uno schema più ampio. Come dice Cayce, “l’anima” è “una porzione del Tutto” (1554-3). Possiamo allenarci ad avere degli episodi di “memoria del futuro”, dice Atwater che condivide la metodologia di James Van Avery per indurli.
Possiamo anche fare ciò che chiamo “esercizi per dilatare il tempo”: fermare o dilatare il tempo. Usavo farlo quando stavo per arrivare in ritardo al lavoro. Quando lasciavo la casa in ritardo di 10 minuti, regolavo la mia coscienza sull’idea di arrivare giusto in tempo e di trattenermi dal consultare il mio orologio. Poi prendevo la macchina e arrivavo in perfetto orario. Avevo dilatato 10 minuti in 20 minuti. Avevo dato il mio senso di realtà alla coscienza, non al mio orologio.
Kevin J. Todeschi, amministratore delegato e direttore esecutivo dell’A.R.E., sperimentò un episodio ancora più notevole di dilatazione del tempo. Quando era studente universitario, era spesso sotto pressione per trovare il tempo per studiare perché era occupato con un lavoro a tempo pieno e con attività spirituali. Una notte fu in ansia perché doveva studiare per un esame. Sapeva che poteva compiere di più quando era più calmo e così decise di leggere dapprima un poco di Un Corso in Miracoli. Ecco la storia che scrisse per il numero di novembre/dicembre del 1992 di Venture Inward:
“Quella sera cominciai a leggere alla 19.59. Avevo guardato la mia sveglia digitale, pensando che ci sarebbe voluta un’ora o due per rilassarmi con il materiale prima di diventare abbastanza calmo per studiare più seriamente. Lessi pagina dopo pagina, sentendomi più in pace ogni volta che giravo pagina, molto felice per il fatto che avevo deciso di tornare ad uno stato di calma.
Sembrò che passassero molti minuti – persino molte ore … lessi a voce alta e lentamente. Se non capivo qualcosa subito lo rileggevo … Non facevo nemmeno caso che ore fossero perché mi stavo rilassando molto. Continuai a leggere finché ogni grammo di ansia sembrava essere eliminato dal mio sistema. Alla fine mi sentivo di nuovo me stesso e rilassato.
Quando finii di leggere una frase, nuovamente decidendo che non importava che ore erano perché mi sentivo del tutto in pace e riuscivo a studiare, chiusi il libro e guardai la sveglia. In quell’istante le cifre passarono
Sbarrai gli occhi e fissai l’orologio – era passato meno di un minuto. Non aveva senso. Nello stesso momento una fortissima ondata di energia salì nella colonna vertebrale. Mi alzai e controllai il mio orologio che stava sul cassettone. Registrava lo stesso orario. Non ci poteva essere alcun dubbio: ero stato fuori dal tempo!”
Kevin aveva dilatato un’ora o più in un minuto. Aveva battuto la mia dilatazione di 10 minuti con un forte margine – ma, dopotutto, quando si è fuori dal tempo, come possono le misurazioni del tempo avere importanza? Egli riassume il messaggio dell’esperienza: “E’ la mente che costruisce.”
In verità, la mente può portarci dentro o fuori dal tempo.
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